Nel 1887 il Consiglio Comunale di Mola deliberò la costruzione di un teatro. Il progetto fu dell’Ing. Vittorio Chiaia e comprendeva una platea di 102 posti, 8 palchi di prima fila, un anfiteatro di prospetto di prima fila di 67 posti, 2 palchi di proscenio, un palcoscenico con 6 camerini. La volta fu dipinta da Ernesto Giaquinto, il sipario realizzato da Battista Domenico di Bari e riproduce la “Danza degli Amorini” di Francesco Albano.
Il teatro così realizzato nel 1892 fu intitolato al musicista molese Niccolò van Westerhout ancora in vita. Cominciò a funzionare nel 1892 con la compagnia di operette di Gennaro Gonzales. Giornata memorabile fu il 18 aprile del 1896, quando fu rappresentata la Dona Flor, opera lirica di Niccolò van Westerhout che lo stesso dedicò a Mola. Negli ultimi anni dell’Ottocento e nei primi del Novecento il teatro ospitò importanti produzioni liriche come il Rigoletto, la Traviata, il Barbiere di Siviglia, i Pagliacci, la Cavalleria Rusticana, con famosi cantanti.
Nel 1908 furono costruiti i palchi di seconda fila con deliberazione del Consiglio comunale, su proposta del consigliere comunale avv. Giuseppe Nardulli che dichiarò che “il teatro di Mola così com’è fatto non appartiene al pubblico, ma è privilegio di poche famiglie soltanto, le quali (…) da molti anni hanno stabilito un diritto di esclusivismo”. Furono avviati così altri lavori e il rifacimento della volta affidato a Menotti Greco e al pittore barese Nicola Colonna.
Un’intensa Stagione operettistica con compagnie di risonanza nazionale si alternava ogni anno ad una altrettanto intensa Stagione di prosa.
Nel 1929 fu costruita la cabina di proiezione e il teatro fu adibito a cinema e varietà: da quel momento cominciò lentamente la sua decadenza. Alla fine della seconda guerra mondiale era ormai ridotto in cattive condizioni. Ci furono ancora delle rappresentazioni di operette, qualche manifestazione culturale e politica, ma dopo qualche anno fu completamente abbandonata perché non più agibile e divenne deposito di attrezzi vari.
Ci furono varie proposte sul futuro del teatro: la conservazione e il restauro, l’abbattimento e l’erezione di una statua a van Westerhout, la cessione ad una ditta locale di costruzioni per la costruzione di appartamenti. L’amministrazione comunale, convinta della valenza culturale ed educativa del teatro, scelse la proposta della conservazione e del restauro: nel 1972 il teatro fu quindi restaurato e riportato al suo antico splendore. Fu inaugurato nel 1972 con un concerto dell’orchestra sinfonica della Provincia diretta dal maestro Nino Rota; l’anno successivo si inaugurò la stagione di prosa con Eduardo De Filippo che ricevette anche la cittadinanza onoraria.
Da quel momento il teatro ebbe un proprio statuto, un comitato di gestione pubblica e ritornò ad essere un centro di promozione culturale. Negli ultimi anni vi hanno trovato ospitalità numerose compagnie di prosa (con attori del calibro di Arnaldo Foà, Paolo Ferrari, Carlo Cecchi, Carlo Croccolo, Maurizio Micheli), conferenze, tavole rotonde, concerti musicali e varie attività culturali.
Negli anni ’90 il teatro van Westerhout fu nuovamente chiuso, questa volta per lavori di adeguamento alle normative di sicurezza. I lavori affidati all’ing. Vincenzo Palazzo con la collaborazione del decoratore Giovanni Carlucci, conclusi nel 2000, hanno riconsegnato alla cittadinanza un piccolo gioiello. La “nuova” inaugurazione, che vide l’esecuzione dell’opera Dona Flor di N.v. Westerhout in forma di concerto, fu organizzata dall’associazione Agimus con la collaborazione del Centro Diaghilev e dell’associazione Auditorium.
PIANTINA POSTI
La struttura fu edificata a partire dal 1723 e completata nel 1778 su disegno dell’Arch. Vincenzo Ruffo di Cassano. La sua architettura jonico-corinzia è ben armonizzata e conferisce al tempio un’elegante maestosità. Nel prospetto, quattro colonne di ordine jonico sostengono un frontone triangolare. L’interno è sobrio e lineare: un buon dipinto tardo barocco di F. Fischetti sull’altare maggiore rappresenta la liberazione di Assisi e del Convento di San Damiano dai saraceni per intercessione di Santa Chiara. Notevoli anche i due dipinti degli altari laterali: l’Immacolata a destra e San Francesco d’Assisi a sinistra, entrambi di scuola napoletana del secolo XVIII.
Il tempio fu consacrato nel 1778 da Mons. Alessandro Maria Calefati, Vescovo di Oria. A questo è annesso un ex-convento di Clarisse le quali, con la soppressione dei beni ecclesiastici, furono allontanate e si ritirarono in una abitazione in cui tuttora risiedono. La prima pietra dell’ex-monastero, ora adibito a edificio scolastico, fu benedetta nel 1723 da Mons. Pino Vescovo di Polignano. La costruzione fu ultimata nel 1731 e in quello stesso anno furono ammesse le suore di Santa Chiara.
In seguito alle leggi siccardiane dell’abolizione dei beni ecclesiastici, il monastero doveva essere soppresso, ma, in virtù di un successivo decreto, fu data facoltà alle suore di continuare a vivere nel proprio istituto.
Nel 1954 iniziarono i lavori di restauro e di ampliamento dell’attuale monastero con la costruzione di una nuova e più amplia chiesa, benedetta e aperta al pubblico dall’Arciv. Enrico Nicodemo nel 1961.
Attualmente il complesso è sede dell’Accademia di Belle Arti e, durante la stagione estiva, numerose sono le iniziative culturali svolte all’interno dell’incantevole e ampio chiostro.
PIANTINA POSTI
La forma del castello è quella di un «poligono stellare» a pianta quadrangolare, e, tra quelli esistenti sulla costa da Barletta a Trani a Bari a Monopoli, è il solo che abbia quella forma. Situato in riva al mare (in origine a diretto contatto del mare), presenta un originale e caratteristico aspetto di fortezza bastionata. Gli angoli dei tre bastioni a nord e a sud sono acutissimi e a forte scarpata, i muri di cortina a nord e a est sono in rientranza dei bastioni e quindi ben protetti. Superiormente ai bastioni si elevano quattro torrioni. Gli interni, oltre a camminamenti, vani di difesa e corridoi, presentano una sala molto vasta, a quota ribassata rispetto al cortile.
Il suo nucleo originario fu fondato da Carlo I d’Angiò intorno al 1278. Dai registri angioini risulta che questi, quando pensò di riedificare e ripopolare l’antica Maula, incaricò gli ingegneri Pietro d’Angicourt e Giovanni da Touldell’edificazione della fortezza: la costruzione dell’intero complesso doveva riassumere in sé, da una parte la funzione di palazzo-dimora regia o baronale e dall’altra quella di fortificazione difensiva.
Nel 1509, in mano ai veneziani dal 1495, sostenne l’assedio di Guglielmo de Lannoy. Fu poi ceduto agli spagnoli; di nuovo ripreso dai veneziani nel 1528 e nel 1530 ceduto all’imperatore Carlo V. Alla fine del periodo aragonese il castello fu fortificato e munito di un puntone a forma di pentagono irregolare allo spigolo ovest.
In seguito all’invenzione della polvere da sparo e per difenderlo dai proiettili dell’artiglieria, l’imperatore dette incarico all’architetto Evangelista Menga da Copertino di rilevarne la pianta e il disegno, tra il 1535 e il 1540. Questi realizzò la cinta bastionata inglobando le precedenti strutture, dotata dei nuovi e dei vecchi sistemi di difesa (cannoniere e caditoie), separandole da quelle più antiche da uno strato di terreno: questo doveva servire ad attutire l’urto dei proiettili e a garantire l’inespugnabilità della fortezza.
Da allora il castello seguì le vicende della città: dai Toraldo passò ai Carafa e da questi agli Acquaviva di Conversano; nel 1588 ritornò ai Carafa e nel 1610 fu venduto con tutta la città all’ebreo portoghese Michele Vaaz. Andati via i Vaaz nel 1735 rimase proprietà degli eredi fino al 1849 quando fu espropriato e venduto al Ministero della Guerra.
Il degrado della struttura iniziò quando fu abbandonato dagli ultimi feudatari e signori: cominciò a essere interessato da crolli sempre più gravi e coperture e cortine murarie erano interessate da una ormai fitta vegetazione. L’intervento di restauro, effettuato negli anni ’80, era finalizzato all’esecuzione delle opere più urgenti per assicurare la conservazione del castello: si è proceduto alla ricostruzione del vano interno dell’ala nord da tempo in parte crollato, alla bonifica delle murature con l’eliminazione della vegetazione, alla protezione con coccio pesto della loro parte superiore, alla sostituzione a scuci-cuci dei conci degradati e non più recuperabili o delle parti mancanti della cortina superficiale.Una serie di saggi effettuati poi ha portato all’individuazione di strutture inglobate nel complesso cinquecentesco, riferibile a due diverse fasi costruttive: una torre circolare realizzata in conci di pietra, una seconda torre circolare realizzata in tufo, una serie di resti di murature.
Nato, dunque, come baluardo difensivo contro le scorrerie e le invasioni esterne, ma anche roccaforte del potere politico interno, sembra che il castello ben presto sia diventato il fulcro della vita politica e culturale della città: nel 1610 in esso si sarebbe tenuta l’assemblea dei cittadini costretti a deliberare la vendita della città al ricco mercante portoghese Vaaz; durante i secoli XVI e XVII le sue numerose sale, i suoi ampi saloni e lo scenografico cortile interno avrebbero ospitato addirittura «accademie letterarie e un famoso teatro».
Oggi è tornato a nuovo splendore assolvendo alla funzione di contenitore culturale: mostre, concerti, convegni, proiezioni di film e presentazione di libri animano questa fortezza, abdicando così alla sua funzione difensiva, un tempo primaria per la sicurezza di Mola e dell’entroterra.